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Storia dell'alluminio

5-ott-2023 12.57.00 / by Rosa M. Mariani

 Il vascello della Norks Hydro  ha scaricato i laminati. Questa notizia dei giorni scorsi è lo spunto per un viaggio nella memoria e nell’industria della laminazione dell’alluminio.

Quando ho iniziato io nell’alluminio, nel 1988, dopo un decennio nei trasporti e nel commercio internazionale, le aziende dell’alluminio erano poche, tutti le conoscevano e la situazione era statica e lo sarebbe stata ancora per molti anni.

C’era la canadese Alcan (Aluminium Canadian), la statunitense Alcoa (Aluminium Company of America), la norvegese Hydro Aluminium, la tedesca VAW, la francese Pechiney e la svizzera Alusuisse  e qualche altro nome che ora stento a ricordare.

In Italia c’era Alumix, l’industria di Stato che pubblicizzava se stessa con cartelli lungo le statali che dicevano “Molte leghe più avanti” (ve lo ricordate?). Per il verniciato c’era la Comsal, in Sardegna a concorrere con la linea di verniciatura di Bresso di Alcan.

Comsal era accanto all’oggi noto smelter sardo di Portovesme, portato alla ribalta da Alcoa, e anche quello, era Statale. Gruppo Efim. Ci si potrebbe allargare nei ricordi e andare alla Sava Laminal, al Tubettificio Europeo di Anzio e di Lecco, ma la ricostruzione sarebbe troppo ramificata, anche se, come si dice in questi casi.. “Io c’ero!”

 

Era sensato mettere uno smelter in Sardegna? Assolutamente no. Gli smelter nel mondo sono vicino ad enormi fonti di energia elettrica a basso costo: Canada, Norvegia, Russia. Si estrae l’alluminia dalla bauxite, nella fascia tropicale del pianeta, dove è presente nella crosta terrestre per l’8% e poi, serve un processo elettrolitico, processo per il quale, come abbiamo detto, serve energia elettrica a basso costo.  Molta energia.

Perché uno smelter in Sardegna allora?

Faceva parte di una visione, di quegli anni, che, perlomeno, partorivano politiche industriali, che volevano portare industrie e lavoro in luoghi dove forse, col senno di poi, sarebbe stato meglio creare dei resort e rinforzare l’Industria del turismo.

Fu una scelta politica, insomma. Come quella quella riguardante l’acciaieria ILVA a Taranto, tanto discussa oggi, ma che è figlia della politica Industriale di quei decenni.  Italsider, IRI, Finsider, ricordate?

Stando queste le premesse, tutto quello che è seguito a Portovesme, è servito solo a sprecare finanziamenti e fondi. Non entro nel merito, ma qui avere un articolo che infiocchetta false speranze, e qui ne avete un altro che vi racconta come invece sono andate a finire le cose. Cose che, se lo avessero chiesto a chiunque del settore, sarebbe stato evidente che la soluzione doveva essere di tutt’altra natura. Una profonda bonifica, bei resort e personale riqualificato su altre professioni, diverse dalla produzione industriale. Non di quel tipo di industria almeno, non in quella splendida terra.

Un problema di costo dell’energia

Come ha fatto fronte lo Stato al piccolo problemino del costo della corrente elettrica?  Semplice. Lo Stato ha concesso alla propria industria di Stato un costo calmierato, che le consentisse di essere competitiva spalmando sui contribuenti la differenza del costo sotto forma di tasse. Ed è sempre stato fatto così, ogni volta che l’impianto è passato di mano, inclusa la vendita ad Alcoa e al successore, perché altrimenti nessuno avrebbe mai acquistato impianti destinati a perdere soldi.  Cosa è stato a cambiare a cambiare le cose?  Ad un certo punto, l’antitrust europeo è entrato nel merito delle Industrie di Stato (non solo quella Italiana, anche in Grecia si ebbe un problema analogo, se ricordo bene). La Commissione Europea ha colpevolizzato questo comportamento di sussidio, ritenendolo una concorrenza sleale.  Nel momento in cui Alcoa si è trovata a non avere più un’energia calmierata che gli compensasse sia quel costo, che la location, il suo business in Italia non è stato più sostenibile.  Non dimentichiamoci infatti che produrre in Sardegna comporta anche, traghetti e tempi più lunghi per servire i clienti.

L’alluminio è anche verniciato

Se guardiamo il fronte dell’alluminio verniciato, anche lì è facile intuire che lo scenario non sarebbe stato sostenibile sul lungo periodo o, forse è facile dirlo oggi, con quello che sappiamo.

 

Impianto di verniciatura in continuo di nastri

Fatto sta che, allora, non c’erano tutte le linee di verniciatura oggi esistenti sul mercato italiano  e quelle estere difficilmente si affacciavano su un mercato fatto di colori personalizzati, di cicli dall’aspetto diverso.  Le consegne standard erano superiori ai due mesi. I ritardi di settimane, erano la consuetudine. I colori erano standard del produttore.  Alcan aveva i suoi colori, Comsal i suoi.  Le aziende dovevano necessariamente avere materiale a magazzino nei colori standard. C’erano i clienti di Alcan e i clienti di Comsal.

Era difficile cambiare fornitore. Il cliente poteva minacciare il fornitore, poteva sventolare il prezzo migliore dell’altro, poteva fare un progetto speciale col materiale del fornitore non abituale, ma le cose erano abbastanza statiche. La relazione personale, tra il compratore e il commerciale, faceva la parte del leone. Un’altra componente che consentiva a Comsal di fornire dalla Sardegna era che, oltre che i colori, esistevano degli standard nella larghezza. Il controsoffitto andava a 110 mm per la maggiore. Paradossalmente, a volte, Comsal offriva un servizio migliore di Alcan.  Anche gli altri prodotti avevano larghezze standard. Uscire dallo standard comportava problemi e quindi nessuno insisteva più di tanto.

Venne l’era dell’architetto

Sappiamo bene che pian piano le esigenze qualitative sono aumentate e anche le richieste di design. Negli anni di cui stiamo parlando, c’erano enormi difetti qualitativi, ma difficilmente si traducevano in un costo importante per il fornitore. Chi puntava i piedi finiva col non avere più un fornitore, soprattutto se voleva “marciarci”. Ricordo qualche azienda con questa attitudine. Aziende che cercavano il piccolo difetto che riguardava pochi chili, e che usava il tema per non pagare autotreni di materiale (materiale ottimo).

 

Il tema del design, dell’originalità, dell’apertura verso i mercati esteri, ha portato la produzione non più su uno standard insindacabile, su leghe proprie, colori propri, ma su dimensioni diverse, colori a paletta Ral o NCS o addirittura Pantone. L’apertura verso l’estero ha cominciato a creare movimento. Il perforato, nei controsoffitti e nei pannelli acustici,  ha portato ad accrescere la competenza sui film pelabili e sulle vernici, e sul rapporto tra i due. Fornire dalla Sardegna non era più possibile, non nei tempi richiesti dal mercato, non con la corretta retribuzione, con il corretto ritorno.

L’esperienza industriale di quei tempi veniva dal calcolare i costi per produrre e per tutte le operazioni accessorie e su decidere un ricarico. C’era la concorrenza con cui confrontarsi, ma le regole erano semplici. La regola più complessa riguardava i costi per le decisioni, la scelta del volume per abbassare il costo fisso sul singolo chilo. Niente a che vedere con l’attuale complessità.

Venne una nuova variabile

Il London Metal Exchange esiste dal 1877ma all’inizio riguardava solo il rame e poco altro. Quando nel 1978 l’alluminio entrò a far parte dell’L.M.E. le cose cominciarono a cambiare. Non si trattava più di fare i conti in casa propria, ma si cominciava a fare i conti con i mercati finanziari, con logiche diverse staccate dalla realtà industriale.  Una delle assurdità che abbiamo visto negli anni è la scarsità di materiale per le industrie, mentre nei magazzini di Rotterdam del London Metal Exchange, ci sono – fermi – uno o due anni del fabbisogno europeo di alluminio. Metallo bloccato dalla finanza.  Metallo  tolto alla produzione.  Metallo che non cresce, al crescere della domanda, metallo che cresce quando la finanza sposta i soldi dal cacao o da qualsiasi altra forma di investimento, all’alluminio.

Alla prima ondata finanziaria, che creò il nuovo sistema, la prima grande scarsità di metallo, o come si dice “Lack of metal” o “shortage” non si era preparati.  Quell’impreparazione delle multinazionali fu di stimolo per due delle più importanti realtà Italiane nella laminazione: la Carcano di Delebio e Mandello  e  la Profilglass di Fano per crescere. Con l’incredibile tatto che le multinazionali a volte riescono ad avere, andarono sul mercato ribaltando il problema sui clienti: c’era un “shortage” e quindi i clienti, se volevano essere forniti, avrebbero dovuto fornite loro le placche da laminare  in conto lavoro.

Mancavano le placche ai produttori

Non so se vi è mai capitato di comprare una placca (Rolling slab o rolling ingot), in particolare di Foil quality. Non è affatto facile, è in quegli anni era pure peggio. E’ un mercato chiuso. Era come dire “ci spiace, problema vostro” 

Sia Profilglass  che Carcano si sono organizzati per non doversi mai più trovare in una condizione così sgradevole, una situazione che li mettesse in un rischio così grande.  Carcano  è una realtà che si è fortemente affermata, mentre Profilglass è diventata da, produttore di sole vetrocamere, a grande produttore di alluminio. Profilglass in particolare ha risposto ad un bisogno del mercato importante, secondo me: essere un alternativa all’arroganza delle multinazionali, essere un interlocutore ragionevole, con cui si potesse discutere per trovare soluzioni condivise.

E’ successo veramente di tutto

In questi decenni è stato un continuo assistere a merge, acquisizioni, spin off e management buy out.

Ho degli  ex-colleghi che, pur non avendo mai cambiato azienda intenzionalmente, hanno cambiato il logo sul biglietto da visita quattro o cinque volte.  A volte eri dalla parte “tenuta” a volte dalla parte “venduta”  Ogni volta, il cambiamento, non cercato, comporta adattamenti a nuovi modelli organizzativi, a nuove culture, a nuovi capi.

Il vascello della Hydro (ve lo ricordare il logo?) è rimasto anni fa alla Hydro Agri, a quella che allora era la divisione fertilizzanti (successivamente Yara). Dal 2015 ho perso le tracce.  Forse anche i salmoni (una interessante divisione che apprezzavamo soprattutto a Natale), hanno tenuto il Vascello, non so.

I laminati di alluminio, non sono più Norvegesi.

La Alcan è sempre canadese, ma fa parte di Rio Tinto. E anche il vecchio logo, cui ero tanto affezionata, è stato abbandonato. Si è parlato per un periodo di una acquisizione da parte della canadese Alcan della Svizzera Alusuisse e della francese Pechiney, ma la commissione europea per l’anti trust si oppose e il tutto non si concretizzò. Eravamo nel 1999. Arrivarono comunque alla fusione nel 2003

Il nuovo assetto non lasciò i dipendenti tranquilli a lungo perché solo cinque anni più tardi, nel 2007  l’Indiana Indalco cominciò le sue acquisizioni in giro per il mondo fino ad arrivare a rendere la parte laminati di Alcan, dell’Indiana Adila Byrla Novelis, mendre all’Australiana Amcor toccò l’altra parte.

Io ho vistato gli stabilimenti di Alma e Arvida in Quebec quando ancora erano Alcan.

Pechiney è dal 2003 inglobata da Rio Tinto.

Alnorf (il più grande stabilimento in Europa) era Alcan e Vaw al 50%

Hydro, che aveva acquisito la parte di VAW di Norf l’abbiamo vista cedere tutta la sua laminazione a KPS (Speira).

 

Alusuisse, è stata acquisita nel 2000 da Alcan.

Costellium è stata creata da Rio Tinto  per vendere la parte general engineering ad un fondo di investimenti che ne detiene il 51%.  Il brand Alcan non esiste più. In Canada troviamo Alouette, Rio Tinto e Alcoa.

Questo per dire che delle vecchie aziende non ne esiste più nessuna, non nel suo assetto globale, non con lo stesso nome. Chi come me ricorda gli stabilimenti perché per la maggior parte c’è stato, se gli si parla di 3A, per capire di chi si stia parlando, chiede dove si trova… A Singen. Ah! Tutto chiaro allora! Stiamo parlando di Alu Singen e di una dei tanti cambiamenti di nome, tra cui Alcan.

Lo scenario però oggi è molto molto più ampio. Abbiamo la Rusal, che un colosso sovietico. Tre produttori Turchi che per quanto meno attivi in Italia sono sempre molto presenti  a fasi alterne.

Molti stabilimenti cinesi da Henan a molti altri. Alcuni con una qualità eccellente, altri molto meno.

E’ vero che il consumo di alluminio è andato costantemente aumentando, ma è anche vero che l’offerta è sempre più ricca.

In Italia abbiamo produttori interamente italiani come la Laminazione Sottile, o la Carcano, che operano nel Foil o ancora la già citata Profilglass, maggiormente dedita al general engineering e all’edilizia e altri produttori minori, o da poco “Italiani”

Hanno quasi tutti risposto ad una esigenza del mercato, che le multinazionali trascuravano: relazione autentica, continuità, competenza degli interlocutori, gentilezza e dialogo.

Concludendo:

  • il mondo dei laminati di alluminio è vasto
  • questo è solo un accenno
  • è una realtà mutevole
  • il bisogno da soddisfare può essere diverso da quello che crediamo

Se stai pensando a nuovi assetti organizzativi, se vuoi una mano nel cambiamento e nella crescita della tua azienda: contattami. Ho abbastanza esperienza in questa industria,  da essere un valido supporto, anche quando serve andare verso piattaforme digitali o tavoli di brainstorming o quando serve creare piccoli team di esploratori del cambiamento.

 

Articolo dell'8-6-2021

 

Autore: Rosa M. Mariani – rosa.mariani@pinksolution.it

Consulente per l’industria dell’alluminio e per le industrie correlate |  Consulente Aziendale 4.0 | Temporary Manager & Chief Digital Officer | Metodo Digital Building Blocks | Esperta nell’efficientamento di processi organizzativi e di vendita | Engagement Manager grandi aziende e P.M.I. | Mentoring 1-2-1 |

 

 

 

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