“Arbeit macht Frei”.“Il lavoro rende liberi” è la grottesca, quanto famosa frase, che fa bella mostra di sé sul cancello di ingresso, in ferro battuto, del campo di concentramento di Auschwitz.
Che cosa è, o cosa dovrebbe essere il lavoro? Il lavoro è il modo, indispensabile, per l’uomo, di sentirsi parte integrante della società in cui vive, di sentire lo scopo del suo esistere, di sentire quel sentimento di dazione indispensabile per il benessere dell’anima, quello che gli permette di congiungersi al Divino.
Avere un ruolo, un incarico lavorativo non significa solo ricevere uno stipendio, ma avere la possibilità di condurre una vita dignitosa, di avere una rete di relazioni complementari che ci facciano sentire cellula di un organismo vivente anziché un virus da espellere.
Il lavoro rende liberi
Il lavoro contribuisce alla formazione del carattere, plasma le nostre capacità di relazione, aumenta la fiducia in noi stessi quando raggiungiamo un risultato positivo, funge da stimolo per l’indipendenza e la collaborazione.
Ci sarebbe da interrogarsi su cosa diventa il lavoro quando viene spogliato di ogni dignità umana. Cosa diventa, la vita stessa, se non viene riempita da un lavoro dignitoso e non alienante.
Se pensate che questa preoccupazione non ci riguardi, siete fuori strada. A mio modo di vedere, ogni volta che si consuma una ingiustizia, ogni volta che non si gioca pulito, con una cosa così importante come il lavoro, si sta erodendo la dignità dell’individuo.
Il lavoro rende liberi
Un piccolo esempio è l’utilizzo del superminimo riassorbibile. Il “Superminimo riassorbibile”, applicato ad un nuovo impiego, è una condizione, che non ti spiegano, ma in qualche modo è sempre migliorativa rispetto al tuo precedente stato di disoccupato, anche se, a questo punto, il “Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro” diventa una barzelletta, un inutile spreco di energie e comunque volto a tutelare quella minoranza di persone che, da sempre, lavora nella stessa azienda – multinazionale – e non ha avuto modo di venire raggirato.
Lavorare da vent’anni nella stessa azienda non mette al riparo dalle ingiustizie ed angherie che si presentano nel mondo del lavoro. E’ infatti consuetudine, di alcune aziende, non molte per fortuna, chiedere al dipendente di firmare le dimissioni per essere riassunto con una nuova tipologia di contratto (“il Job Act”). In genere il dipendente si affida fiducioso, tituba, ma non vuole creare problemi che si possano ritorcere su di lui, magari è anche contento di percepire la liquidazione del precedente contratto, poi un bel giorno, va a chiedere un mutuo e si rende conto che, con quel tipo di contratto, non glielo danno. Si, anche se sono vent’anni che lavora in quell’azienda, viene considerato un precario.
Il lavoro rende liberi
Se poi va casa e cerca di disdire, per rientrare nei costi della vita o semplicemente perché non ne vuole più usufruire, un pacchetto di Pay TV o di telefonia, si rende conto di essere completamente vessato e privo di ogni diritto. Non esiste possibilità di negoziare nulla: può solo subire condizioni decise da altri, guarda caso, non a suo favore. Abbiamo le associazioni dei consumatori? Rivolgendosi a queste associazioni, molte volte si finisce con tenere viva la nostra rabbia per più tempo, pagare una quota associativa e non venire poi comunque a capo di nulla. Non sempre, ma spesso.
Le nostre relazioni sono sempre più difficili perché indossiamo perennemente la maschera del vincente, la competizione in cui ci hanno immerso, ci divide, ci lascia soli contro giganti economici, soli in mezzo agli altri.
I giganti economici siamo noi
Uno scenario raccapricciante a cui abbiamo modo di sfuggire in un solo ed unico modo: cambiando noi stessi. Se noi per primi vogliamo essere etici e corretti, se noi per primi agiamo pensando che, fregando l’altro, alla fine freghiamo solo noi stessi, la società in cui viviamo, il luogo in cui cresceranno i nostri figli, il nostro benessere mentale, allora c’è speranza.
La speranza è quella di un mondo in cui, chi lavora in un’azienda, non si faccia veicolo di una trama per mettere in scena una ingiustizia perché questo porta profitto, che chi lavora in un’azienda lotti per la giustizia, anche a costo di pagare in prima persona.
L’auspicio è che certe voci, che oggi sono sempre più numerose, non restino inascoltate.
La richiesta è che, in un Paese civile, il “superminimo riassorbibile” sia reso illegale.
Il Lavoro rende liberi se lo svolgiamo in modo etico, se sappiamo dire no a chi vorrebbe che attuassimo comportamenti scorretti, a chi ci vorrebbe loro complici.
Possiamo dire no
I sindacati sono rimasti silenti rispetto a questo argomento e chissà a quanti altri. Non se ne sono accorti? Mi risulta difficile crederlo. Credo piuttosto che siamo tutti pavidi. Credo che forse, abbiamo visto qualche sognatore alzare la spada verso l’archetipo del mulino a vento. Non gli abbiamo visto fare una bella fine (almeno così ci è parso). Sono sempre meno le persone che perseguono con determinazione un ideale di giustizia. I cavalieri bianchi sono passati di moda.
Ognuno di noi, all’interno dell’azienda in cui lavora, può essere portatore di giustizia. Ognuno di noi può concorrere a rompere gli schemi. Se lavoriamo, ad esempio, per una nota compagnia telefonica che ha una procedura che non consente agli utenti di disdire senza incorrere in penali che, anzi, sono indotte, ricercate ed auspicate per aumentare il profitto, noi possiamo, al contrario, dare agli utenti le corrette informazioni nei tempi corretti perché la vessazione non esista e si apra la possibilità, per quel cliente, di ritornare.
“Arbeit macht Frei” – Facciamo in modo che non sia una frase grottesca, ma una realtà nella nostra società.
Autore: Rosa M. Mariani – rosam.mariani@pinksolution.it
Consulente per l’industria dell’alluminio e per le industrie correlate | Consulente Aziendale 4.0 | Temporary Manager & Chief Digital Officer | Metodo Digital Building Blocks | Esperta nell’efficientamento di processi organizzativi e di vendita | Engagement Manager grandi aziende e P.M.I. | Mentoring 1-2-1 | Tutor |
Pubblicato su Linkedin il 13 ottobre 2019, aggiornato l’11 Settembre 2021