Oggi è una grande data per me. Dopo quattro anni di militanza in EWMD, oggi, finalmente, ho cambiato nel mio profilo Linkedin ogni termine che era al maschile e l’ho messo al femminile.
L’ho messo al femminile come era giusto che fosse, come sarebbe sempre stato giusto, ma non è stato così.
Su tutti i biglietti da visita della mia carriera (perdonate ne ho un misero campione residuo sottomano),quel che si legge è Direttore Vendite, Direttore Commerciale e Marketing… Direttore, insomma, ma mai “Direttrice”.
Perché questo? In altri Paesi, come la vicina Spagna, la “Directora” esiste da sempre, come da almeno un ventennio esiste la possibilità di prendere il cognome della madre o entrambi.
Il nostro è un Paese fortemente patriarcale e il mantenimento di un certo linguaggio ha contribuito a rendere inesistenti certe posizioni per le donne che, definendosi al maschile, hanno confermato l’eccezionalità della cosa.
Il linguaggio crea cultura
E’ difficile rendersi conto di quanto il linguaggio sia fondamentale per creare cultura. E’ difficile anche perché, per prime le donne, non se ne rendono conto.
Ormai lo avvalorano anche le neuro-scienze: ciò di cui non esiste il nome non esiste. E allora se una donna, si definisce ingegnere, anziché ingegnera (che pure in italiano esiste, eh?), allora è un po’ come avvalorare che quella professione non è per donne e, se tu lo sei, forse sei un po’ maschio o comunque un’eccezione.
Vi invito a cercare su YouTube gli speech di Alexa Pantanella su questo tema e vi si aprirà un mondo di consapevolezza. E? una straordinaria studiosa del lingaggio.
E’ un po’ che lo so, ma ancora non avevo avuto la forza di cambiare le mie qualifiche al femminile e, sicuramente, ci saranno luoghi in cui, sul c.v. ancora i miei ruoli figurano come se fossi un maschio.
Il femminile è un diritto di esistenza
Perché c’è voluta forza? Intanto perché ricoprire certi ruoli ha significato “fatica”, uno straordinario impegno e dedizione e, sapere che il termine al femminile, in molte professioni ha una connotazione ridicolizzante o sminuente nella concezione comune, mi ha frenata. Insomma, essere “Direttore” è un po’ percepito come una coppa, un trofeo, un avercele fatta. Essere Direttrice no. O almeno lo è stato al cento per cento per molti decenni.
Anche l’algoritmo di google, se non l’hanno modificato recentemente grazie a pressioni di vari gruppi attivisti, traduce dall’inglese, alcune professioni al femminile, ed altre al maschile, in base alla cultura italiana presente in rete. Google attinge da parole che trova, che legge, che riassume. Non è Google ad essere sessista, patriarcale, etc. Siamo noi ad esserlo e a trasmetterglielo con quello che scriviamo (che è lo specchio di quello che diciamo).
Siete scandalizzati?
Non dovreste. Dite la verità… Se dico “un governante” a cosa pensate? A un uomo di governo, uno Statista. Giusto? E se dico “una governante” a cosa pensate? A una donna che si occupa di tenervi organizzata la casa, giusto? Come vedete è una forma mentis che abbiamo tutti. E’ la cultura in cui siamo immersi ed immerse a farci esprimere in questo modo, a guidare i nostri pensieri.
Ce ne sono a bizzeffe di esempi di questo tipo. Per cui vi prego, da oggi, accogliamo nel linguaggio, senza storcere il naso, senza dire “suona male”, tutte le definizioni di professione al femminile: assessora, avvocata, ingegnera, direttrice, architetta, etc
Smettere di abbinare il termine, la qualifica professionale, ad uno specifico ambito, recluso, minore, dipende da noi.
Smettete di trovarlo ridicolo perché espresso al femminile, nella sua forma corretta, nella lingua italiana.
A mia discolpa posso dire che, quando sono diventata dirigente io, nel 1998, di donne nell’industria metalmeccanica ce n’erano veramente poche. Si parlava di un 5%, ma in quel numero c’erano anche le figlie d’arte dei grandi nomi industriali. A quei tempi, la Direttrice avrebbe fatto pensare alla scuola o forse – andando bene – ad un’azienda di cosmetici. Forse era inevitabile utilizzare Direttore. Perdonatemi se mi trovo questa scusante.
Nella laminazione e verniciatura dell’alluminio sono stata sola per anni, sul mercato, a contatto coi clienti, in giro per l’Europa. Spesso unica donna sugli aerei in business class. Avrei avuto una grande opportunità di “sdoganare” direttrice, ma come dicevamo, il linguaggio è una questione di cultura e la cultura non c’era, non ce l’avevo.
Il linguaggio crea. Questa è una cosa di cui tutti e tutte dobbiamo diventare consapevoli. Il linguaggio discrimina o accoglie. Sta a noi stare attenti a quali termini scegliamo di utilizzare e dare il nostro contributo per una necessaria transizione.
Lo dico soprattutto alle donne, alle donne che crescono figli, che saranno gli uomini e le donne di domani, lo dico soprattutto alle donne che ostacolano altre donne nella loro giusta battaglia di affermare la propria professione al femminile.
La nostra lingua viene dal latino, come tutti sappiamo, e l’abbandono del neutro ha fatto si che si adottasse il famoso uso del maschile-neutro. Insomma, anche lì, mi piacerebbe, qualche volta in più sentire “E a tutti e a tutte, un saluto” anziché essere sempre inclusa in una massa maschile.
Un gesto di attenzione per questo 52% della popolazione mondiale spesso ignorato.
Sciocchezze? Ricordate quello che ci insegnano le recenti scoperte delle neuro-scienze: quello di cui non esiste il nome non esiste.
Autrice: Rosa M. Mariani – rosa.mariani@pinksolution.it
Esperta nell’industria della laminazione e verniciatura dell’alluminio | Esperta in processi organizzativi, di vendita e piattaforme digitali | Autrice di libri ed articoli | Mentore aziendale | EWMD Member |