Più sentiamo che la nostra vita ha passato l’asticella del mezzo cammino e più sentiamo urgente il dovere di realizzare, quel qualcosa, che ci faccia sentire che abbiamo vissuto appieno e che abbiamo lasciato ai posteri qualcosa di tangibile, che abbiamo, appunto, lasciato il segno.
L’essere umano è l’unico essere vivente ad avere percezione della morte, ad avere la parola e, come tale, ad avere un desiderio di eternità.
Forse è sbagliato parlare di desiderio di eternità. La vita ha una componente molto alta di sofferenza e non ci risparmia il decadimento fisico, le malattie, i patimenti di ogni genere, dandoci in cambio, qualche fugace momento di gioia e serenità.
Non vogliamo essere dimenticati.
In realtà, quello a cui tutti ambiremmo è non essere dimenticati. Lasciare un segno.
Quando un nostro caro è prossimo alla morte, ci chiede di non dimenticarlo e, certamente, finché noi vivremo, il suo ricordo vivrà con noi e, una parte di noi, morrà con lui.
Noi però, vorremmo vivere nella memoria, al di là di una relazione affettiva. Vorremo che un qualche cosa, nelle nostre gesta, potesse protrarsi nel tempo e portare giovamento a generazioni future, il più a lungo possibile.
Un Leonardo Da Vinci, forse non nascerà più, un po’ perché ci sono meno cose residue da scoprire, alla portata del singolo, e un po’ perché il sapere non è più abituato alla visione d’insieme. Le specializzazioni, inevitabilmente, ci hanno tolto la capacità di capire, quale impatto può avere la nostra azione nella disciplina attigua (emblematico a questo riguardo Diritto ed Economia, oggi separate).
Un disastro, a mio modo di vedere, questa frammentazione del sapere, con cui si sono frammentate anche le nostre abilità relazionali.
Ci sono tanti modi di lasciare segni significativi
Tornando al nostro argomento del giorno, i modi per lasciare un segno sono molteplici. Pensiamo per esempio a Sofia Corradi fondatrice del Programma di mobilità studentesca Erasmus. Sembra una piccola cosa, ma è grazie a quel progetto che oggi, un infinito numero di studenti, possono svolgere periodi di studio in un altro Paese europeo, imparando una lingua, sperimentando una nuova cultura, aprendo la propria mente.
Sono convinta che lasciare il segno abbia a che fare con l’avere uno scopo nella vita, con l’avere un “perché” che ci muove. Non riesco a pensare a nessun personaggio per me significativo che non sia stato mosso dal voler portare qualcosa di buono al mondo.
Certo, prima che per il mondo, anche Martin Luther King, i diritti degli afroamericani li difendeva per se stesso, ma perché è da se stessi che arriva il carburante della motivazione personale. Il suo “I have dream” veniva dal profondo, ed era talmente potente che fu assassinato prima dei suoi quarantanni. La sua voce fu messa a tacere con la morte.
La sua motivazione era profonda, come dal profondo arriva la motivazione di ciascuno di noi. Chi pensa di non averlo, un perché, uno scopo, è perché è troppo pigro per scavare, per mettersi in gioco.
Non esiste scopo che non abbia a che fare col “dare”
Soprattutto chi ha passato l’asticella del mezzo cammino, cerca ambienti in cui poter stare, sentendosi bene, Un bene che ha a che fare anche col significato della missione collettiva, che faciliti il nostro scopo interiore e che lo faccia efficacemente.
Riassumendo il quadretto di cui facciamo parte
La frammentazione, del sapere, dell’università. dell’informazione, del vivere, ha distrutto la nostra capacità di visione globale e di aggregazione, facendoci sentire profondamente soli e sempre più tristi, dietro le nostre belle maschere di benessere.
La nostra missione individuale o è inascoltata, da noi stessi prima che dagli altri, o, non riesce a trovare un modo in cui esprimersi e portare al mondo quel che sente di poter dare.
La velocità con cui si muove il mondo oggi, ci fa percepire l’urgenza della realizzazione del nostro progetto.
La rete (Internet) da un lato ci aggrega con individui con i nostri stessi interessi, con la nostra visione e ci fa rallegrare del fatto che esistono tante altre persone con quel pensiero che credevamo solo nostro, ma dall’altro, poiché si è sparpagliati sul territorio, a volte anche oltre frontiera, viene a mancare il contatto fisico essenziale per il nostro benessere psico-fisico.
La soluzione?
Cerchiamo tutti, persone e aziende il nostro scopo, il nostro perché e cerchiamo di creare ambienti fisici, di relazioni umane significative, facilitati dalle nuove tecnologie, ma non ad esse interamente affidate.
Se vuoi approfondire troverai qualche buon consiglio nella nostra area libri o cliccando qui.
Da noi, alla Pink Solution, troverai un interlocutore aperto con cui instaurare una collaborazione su misura.
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